FEDI : accenditore lampada
Inviato: dom ago 01, 2004 7:05 pm
Inserisco questo post sia per discuterne con tutti Voi, sia per info generale, dopo che ho dovuto fare una corsa a ripararne uno in cui sono “saltati” ponte al selenio e un condensatore per il fatto che le punte non scintillavano più (erano da pulire e riavvicinare).
La foto n°1 mostra l’accenditore FEDI più largamente diffuso ed impiegato. Quella specie di “fisarmonica” rossa che si vede nel riquadro giallo della foto n° 2 è un ponte raddrizzatore al selenio, a mezz’onda (o semionda) composto da 8 + 8 diodi. Dato che ormai la tecnologia al silicio ha soppiantato quella all’ossido di rame e al selenio; che in qualche cabina sopravvive ancora qualche esemplare di ponte al selenio; che non tutti, soprattutto i giovanissimi della cabina, ci hanno mai avuto a che fare e forse non ci avranno mai a che fare; vorrei dire due parole su questi ponti, di come venivano costruiti ed assemblati.
Vediamolo brevemente (rife: Monografie):
Negli schizzi relativi al ponte al selenio in questione si ha: 1=simbolo; 2=schema del ponte; 3=unità diodo; 4=profilo dell’unità diodo; 5=assemblaggio del ponte.
Su una plachetta di metallo (3) –in gigio in (4)- veniva depositato -solo su un lato- uno strato di materiale semiconduttore (selenio o ossido di rame; la tecnologia costruttiva era identica) evidenziato in rosso in (4), e mediante debole collante altamente conduttivo e pressione meccanica veniva applicata una rondella -particolare in blu in (4)-. Questo era il diodo. La plachetta metallica, oltre che da supporto per il materiale semiconduttore serviva anche come dissipatore di calore. L’assemblaggio veniva fatto mediante un perno filettato –parte centrale grigio chiaro in (5)- su cui veniva infilato un tubetto isolante in sterling –parte verde in (5)-, venivano quindi infilate le plachette (diodi) nel numero voluto (calcolato in base alle loro caratteristiche di tensione e corrente) e verso voluto (in base al tipo di assemblaggio da realizzare) e ad intervalli stabiliti venivano interposte delle “prese” di collegamento –parti in marrone in (5)-. Ad assemblaggio finito, mediante due dadi avvitati in testa e in coda al “ponte” così assemblato, si provvedeva a serrare i diodi, assicurando così un buon contatto elettrico fra loro. A seconda poi di come venivano inseriti e collegati i diodi fra loro si potevano costruire diodi semplici, doppi diodi, ponti raddrizzatori a onda intera e perfino mettere in parallelo più “blocchi”, fra loro. Ecco perché aprendo un vecchio raddrizzatore (per arco) al selenio noteremmo subito una gran marea di collegamenti elettrici tra vari punti intermedi di una “piastra” intera.
Ma torniamo all’accenditore:
questo sterling di isolamento, centrale al ponte sul perno di assemblaggio/fissaggio, con l’andare del tempo tendeva a irrigidirsi, sfaldarsi, polverizzarsi, scheggiarsi, in modo naturale, riducendo progressivamente il suo potere isolante. Tenendo presente poi che su tale ponte era presente alta tensione e il deteriorarsi dell’isolante, capitava che tale ponte “scaricasse” sul perno metallico e quindi tra i vari diodi che lo componevano, “friggendone” qualcuno o addirittura tutti in una sola volta. Ci se ne accorgeva subito per due motivi eclattanti: il primo perché la lampada non si accendeva più, ed il secondo per la terribile puzza di… di… “eau-de-fogne” … (per non usare parola sconveniente in un forum), con la possibilità che ad insistere a pigiare il pulsante di “accensione” si rischiasse di mettere fuori uso la lampada e talvolta anche il raddrizzatore. Questo tipo di guasto poteva comportare anche “l’andare in corto” ad uno o entrambi i condensatori ad alta tensione visibili nel riquadro giallo della foto n° 3.
Riparazione:
Chi usa tale accenditore se malauguratamente si dovesse trovare in tale situazione, ossia che la lampada non si accende più e/o dovesse sentire uno “strano” e nauseante odore uscire dalla lanterna, NON INSISTA a tentare di accendere, potrebbe causare danni maggiori e più gravi, ergo, costosi. Può tuttavia riparare da sé tale accenditore, a meno che non ci sia anche il guasto al trasformatore a colonne separate (c’è una ragione: il secondario genera alta tensione e il semplice isolamento della carta apposita, in caso di bobinaggio unico monocolonna -primario e secondario sovrapposti- non sarebbe stato sufficiente. Si tenga presente che sono accenditori con oltre venti/trent’anni sulle spalle), o che ne abbia uno spare (di riserva) pronto per il cambio. Per ripararlo si tenga presente che i condensatori (foto n° 3) hanno il seguente valore: 10.000pF – 20Kv. Tuttavia sono ancora usati, quindi reperibili in commercio, in quanto impiegati in alcuni moderni accenditori e in altre apparecchiature industriali che utilizzano alta tensione. Per il doppio diodo al selenio (foto n° 2) no problem: va sostituito con due moderni diodi al silicio ad alta tensione (attorno ai 18Kv), tenendo presente che nel ponte in questione gli ingressi sono laterali e l’uscita con polarità=POSITIVO (+) è centrale. Stare attenti a come si posizionano i due nuovi diodi, cercando di non accostarli troppo a masse metalliche per evitare archi indesiderati.
Manutenzione:
Questo tipo di accenditore richiede una periodica manutenzione:
A) pulizia dalla polvere che vi si accumula, eseguibile con vari metodi: ad esempio una spolverata con un pennello morbido o con aria compressa, in questo caso quella delle moderne bombolette usate per/sui computers è ideale in quanto non è vera aria compressa, ma un gas anidro -ossia non contenente umidità residua- esente anche da CFC, a differenza di quella del classico compressore che contiene tracce di umidità residua (sarà noto il fatto che il serbatoio del compressore di tanto in tanto va svuotato dalla condensa).
B) verifica dello stato di usura delle “punte” dello spinterometro, o “scintillatore”, messo in evidenza dal rettangolo giallo nella foto n° 4. Tali punte si consumano con l’uso, alla stessa stregua della candela del motore dell’automobile. Si smonta facilmente in questo modo: svitare il dadino superiore, alzare la lamella di collegamento, stringerlo con tre dita e svitarlo dal perno di base. A questo punto, dopo averlo rimosso, va scomposto: le punte vanno pulite con tela smeriglio finissima, (quella per rifinitura da carrozzeria), il corpo in ceramica va lavato soprattutto all’interno con solvente non oleoso, (diluente nitro), quindi ricomposto e rimontato. Se per caso il corpo dello spinterometro fosse di plastica, non usare solventi, pulirlo all’interno con il classico “straccetto” e semmai lavarlo con acqua e sapone, (quello con cui si lavano a mano le stoviglie di cucina), quindi asciugarlo. In fase di riassemblaggio tenere presente che la distanza tra le due punte deve essere attorno ai 10 millimetri. Distanze troppo inferiori o superiori possono causare forti anomalie di funzionamento anche e fino al punto di far guastare l’accenditore.
ciao - Alvaro
La foto n°1 mostra l’accenditore FEDI più largamente diffuso ed impiegato. Quella specie di “fisarmonica” rossa che si vede nel riquadro giallo della foto n° 2 è un ponte raddrizzatore al selenio, a mezz’onda (o semionda) composto da 8 + 8 diodi. Dato che ormai la tecnologia al silicio ha soppiantato quella all’ossido di rame e al selenio; che in qualche cabina sopravvive ancora qualche esemplare di ponte al selenio; che non tutti, soprattutto i giovanissimi della cabina, ci hanno mai avuto a che fare e forse non ci avranno mai a che fare; vorrei dire due parole su questi ponti, di come venivano costruiti ed assemblati.
Vediamolo brevemente (rife: Monografie):
Negli schizzi relativi al ponte al selenio in questione si ha: 1=simbolo; 2=schema del ponte; 3=unità diodo; 4=profilo dell’unità diodo; 5=assemblaggio del ponte.
Su una plachetta di metallo (3) –in gigio in (4)- veniva depositato -solo su un lato- uno strato di materiale semiconduttore (selenio o ossido di rame; la tecnologia costruttiva era identica) evidenziato in rosso in (4), e mediante debole collante altamente conduttivo e pressione meccanica veniva applicata una rondella -particolare in blu in (4)-. Questo era il diodo. La plachetta metallica, oltre che da supporto per il materiale semiconduttore serviva anche come dissipatore di calore. L’assemblaggio veniva fatto mediante un perno filettato –parte centrale grigio chiaro in (5)- su cui veniva infilato un tubetto isolante in sterling –parte verde in (5)-, venivano quindi infilate le plachette (diodi) nel numero voluto (calcolato in base alle loro caratteristiche di tensione e corrente) e verso voluto (in base al tipo di assemblaggio da realizzare) e ad intervalli stabiliti venivano interposte delle “prese” di collegamento –parti in marrone in (5)-. Ad assemblaggio finito, mediante due dadi avvitati in testa e in coda al “ponte” così assemblato, si provvedeva a serrare i diodi, assicurando così un buon contatto elettrico fra loro. A seconda poi di come venivano inseriti e collegati i diodi fra loro si potevano costruire diodi semplici, doppi diodi, ponti raddrizzatori a onda intera e perfino mettere in parallelo più “blocchi”, fra loro. Ecco perché aprendo un vecchio raddrizzatore (per arco) al selenio noteremmo subito una gran marea di collegamenti elettrici tra vari punti intermedi di una “piastra” intera.
Ma torniamo all’accenditore:
questo sterling di isolamento, centrale al ponte sul perno di assemblaggio/fissaggio, con l’andare del tempo tendeva a irrigidirsi, sfaldarsi, polverizzarsi, scheggiarsi, in modo naturale, riducendo progressivamente il suo potere isolante. Tenendo presente poi che su tale ponte era presente alta tensione e il deteriorarsi dell’isolante, capitava che tale ponte “scaricasse” sul perno metallico e quindi tra i vari diodi che lo componevano, “friggendone” qualcuno o addirittura tutti in una sola volta. Ci se ne accorgeva subito per due motivi eclattanti: il primo perché la lampada non si accendeva più, ed il secondo per la terribile puzza di… di… “eau-de-fogne” … (per non usare parola sconveniente in un forum), con la possibilità che ad insistere a pigiare il pulsante di “accensione” si rischiasse di mettere fuori uso la lampada e talvolta anche il raddrizzatore. Questo tipo di guasto poteva comportare anche “l’andare in corto” ad uno o entrambi i condensatori ad alta tensione visibili nel riquadro giallo della foto n° 3.
Riparazione:
Chi usa tale accenditore se malauguratamente si dovesse trovare in tale situazione, ossia che la lampada non si accende più e/o dovesse sentire uno “strano” e nauseante odore uscire dalla lanterna, NON INSISTA a tentare di accendere, potrebbe causare danni maggiori e più gravi, ergo, costosi. Può tuttavia riparare da sé tale accenditore, a meno che non ci sia anche il guasto al trasformatore a colonne separate (c’è una ragione: il secondario genera alta tensione e il semplice isolamento della carta apposita, in caso di bobinaggio unico monocolonna -primario e secondario sovrapposti- non sarebbe stato sufficiente. Si tenga presente che sono accenditori con oltre venti/trent’anni sulle spalle), o che ne abbia uno spare (di riserva) pronto per il cambio. Per ripararlo si tenga presente che i condensatori (foto n° 3) hanno il seguente valore: 10.000pF – 20Kv. Tuttavia sono ancora usati, quindi reperibili in commercio, in quanto impiegati in alcuni moderni accenditori e in altre apparecchiature industriali che utilizzano alta tensione. Per il doppio diodo al selenio (foto n° 2) no problem: va sostituito con due moderni diodi al silicio ad alta tensione (attorno ai 18Kv), tenendo presente che nel ponte in questione gli ingressi sono laterali e l’uscita con polarità=POSITIVO (+) è centrale. Stare attenti a come si posizionano i due nuovi diodi, cercando di non accostarli troppo a masse metalliche per evitare archi indesiderati.
Manutenzione:
Questo tipo di accenditore richiede una periodica manutenzione:
A) pulizia dalla polvere che vi si accumula, eseguibile con vari metodi: ad esempio una spolverata con un pennello morbido o con aria compressa, in questo caso quella delle moderne bombolette usate per/sui computers è ideale in quanto non è vera aria compressa, ma un gas anidro -ossia non contenente umidità residua- esente anche da CFC, a differenza di quella del classico compressore che contiene tracce di umidità residua (sarà noto il fatto che il serbatoio del compressore di tanto in tanto va svuotato dalla condensa).
B) verifica dello stato di usura delle “punte” dello spinterometro, o “scintillatore”, messo in evidenza dal rettangolo giallo nella foto n° 4. Tali punte si consumano con l’uso, alla stessa stregua della candela del motore dell’automobile. Si smonta facilmente in questo modo: svitare il dadino superiore, alzare la lamella di collegamento, stringerlo con tre dita e svitarlo dal perno di base. A questo punto, dopo averlo rimosso, va scomposto: le punte vanno pulite con tela smeriglio finissima, (quella per rifinitura da carrozzeria), il corpo in ceramica va lavato soprattutto all’interno con solvente non oleoso, (diluente nitro), quindi ricomposto e rimontato. Se per caso il corpo dello spinterometro fosse di plastica, non usare solventi, pulirlo all’interno con il classico “straccetto” e semmai lavarlo con acqua e sapone, (quello con cui si lavano a mano le stoviglie di cucina), quindi asciugarlo. In fase di riassemblaggio tenere presente che la distanza tra le due punte deve essere attorno ai 10 millimetri. Distanze troppo inferiori o superiori possono causare forti anomalie di funzionamento anche e fino al punto di far guastare l’accenditore.
ciao - Alvaro