Non intendo volutamente scrivere un ulteriore ennesimo trattato sui tubi elettronici a vuoto: ce ne sono già abbastanza. Trattandosi di una curiosata mi limito all’essenziale.
COME ERANO FATTE E COSTRUITE
I tubi elettronici, comunemente conosciuti con il nome di “valvole” sono ampolle solitamente in vetro a vuoto spinto o a gas rarefatto in cui si sfrutta l’emissione di elettroni da parte di un elettrodo detto catodo. Tale emissione di elettroni avviene, nella grande maggioranza delle valvole, per mezzo termico: ossia il catodo portato ad elevata temperatura è in grado di emettere elettroni per effetto termoionico. Il riscaldamento del catodo è ottenuto per via elettrica in maniera diretta o indiretta. Nel primo caso (riscaldamento diretto) si applica direttamente corrente elettrica al catodo, che ha una struttura filiforme, per mezzo di reofori che fuoriescono direttamente dall’ampolla e la corrente che vi circola provoca, per efftto Joule, il riscaldamento richiesto. Nel secondo caso (riscaldamento indiretto) il catodo ha invece una struttura di un piccolo tubicino entro cui è disposto il filamento riscaldatore. Sempre per effetto Joule la corrente elettrica che scorre nel filamento lo porta in temperatura di conseguenza esso provoca il riscaldamento del tubicino stesso. La temperatura raggiunta è prossima all’incandescenza. Osservando una valvola quando è accesa è facile notare dei punti di colore rosso-arancio: è appunto il catodo che è riscaldato. Il filamento riscaldatore è ricoperto di materiale particolare che facilita l’emissione quando riscaldato e questo rivestimento si presenta come una polvere grigio cenere: è una miscela a base di ossidi di stronzio e bario ed ha anche la funzione di isolare elettricamente il filamento dalle pareti del tubicino del catodo entro cui è infilato; il tubicino costituente il catodo invece è realizzato in una lega a base di tungsteno e torio.
Guardando l’ampolla di una valvola si nota che sulla sommità o lateralmente sull’ampolla o in entrambe le posizioni vi è o vi sono della macchie grigio-argentee più o meno ampie che hanno riflessi simili alla superficie di uno specchio. Questa “argentatura” in realtà è una delle ultime fasi della costruzione della valvola stessa. Dopo aver assemblato meccanicamente i vari elementi costituenti la valvola su una superficie di appoggio isolante (solitamente una lamina di mica o un idoneo supporto di vetro) ed aver affogato i reofori in una base di vetro, il tutto viene infilato dentro un’ampolla di vetro di forma solitamente tubolare e questa ampolla viene poi saldata a fiamma sulla base. A questo punto la valvola è assemblata. Ora non resta che praticare il vuoto deltro l’ampolla. La valvola viene riscaldata in un forno a temperatura inferiore a 350° (temperatura limite oltre la quale il vetro diventa “plastico” e si deforma) e mediante apposite pompe viene praticato il vuoto. Terminata l’operazione l’ampolla viene definitivamente sigillata.
Tuttavia particelle di aria possono rimanere intrappolate nel metallo con cui vengono costruiti gli elettrodi stessi della valvola ed essere rilasciate nel tempo durante il funzionamento della valvola con conseguente calo di resa della stessa. Per ovviare a questo inconveniente, in fase di assemblaggio della valvola, vengono disposte sulla struttura portante degli elementi, ma comunque sempre all’esterno dell’ultimo elemento (gli elementi di una valvola hanno una disposizione “concentrica”), della capsule di nikel contenenti del getter (sostanza a base di bario, magnesio, calcio, sodio e fosforo). A lavorazione terminata, dopo aver praticato il vuoto all’interno dell’ampolla ed averla sigillata, la valvola viene sottoposta ad un “bagno” di radiofrequenza che fa riscaldare tutti gli elementi interni ma in particolar modo la capsula di nikel contenente il getter che a sua volta evapora di colpo depositandosi sotto forma di pellicola metallica sulle pareti interne dell’ampolla. Pellicola metallica che assomiglia ad una superficie speculare. Durante il funzionamento della valvola le eventuali particelle di aria che vengono liberate dagli elettrodi interni si combinano con il getter con il risultato che il vuoto tende ad aumentare man mano che la valvola lavora.
Questo in poche parole come viene costruita una valvola. Di valvole ne sono esistite una enorme varietà di modelli di differenti caratteristiche a seconda del numero di elettrodi contenuti, del tipo di montaggio che si faceva, dell’impiego cui erano destinate e via di seguito.
Cosa comune a tutte le valvole e’ che hanno SEMPRE almeno due elettrodi: 1 catodo ed 1 anodo (caso del diodo).
LORO EVLUZIONE E CAMPI DI APPLICAZIONE
Direttamente discendenti della lampadina ad incandescenza (di sui ne hanno mantenuto una caratteristica: il filamento che si riscalda) ne rappresentano una evoluzione ed hanno aperto la strada a nuove frontiere. Con loro si è cominciato a costruire apparecchiature elettroniche sempre più avanzate, e mano a mano che la tecnologia progrediva anche loro progredivano.
Gli elementi costituenti una valvola si chiamano elettrodi e sono: CATODO, ANODO, GRIGLIA.
La griglia e’ interposta tra il catodo e l’anodo e serve a controllare il flusso di elettroni.
Il numero di griglie è variabile a seconda del tipo di valvola che si intende realizzare: possono variare da zero (diodo) fino a cinque (pentagriglia) e in alcuni casi fino a sette.
Immaginiamo ora una struttura a cinque anelli concentrici in cui il centro è il filamento riscaldatore : primo anello = catodo (K); secondo anello = griglia controllo o prima priglia (G1); terzo anello = griglia schermo o seconda griglia (G2); quarto anello = griglia soppressore o terza griglia (G3); quinto anello = anodo o placca (A)
Questa è la struttura tipica di una valvola.
A seconda del numero di elettrodi che la formavano, la valvola apparteneva ad una classe:
2 elettrodi = DIODO
3 elettrodi = TRIODO
4 elettrodi = TETRODO
5 elettrodi = PENTODO
6 elettrodi = ESODO
7 elettrodi = EPTODO
8 elettrodi = OTTODO
9 elettrodi = ENNODO
Tali combinazioni potevano ripetersi all’interno della medesima ampolla o essere combinate variamente tra loro: ad esempio c’erano: doppio diodo; doppio triodo; triodo-pentodo; triplo diodo-triodo, doppio diodo-tetrodo ecc. ecc. Queste combinazioni venivano di volta in volta realizzate a seconda del fabbisogno, alla stessa stregua di come oggi si costruiscono semiconduttori o integrati a seconda del bisogno. Vennero realizzate valvole dedicate per usi specifici come nel campo telefonico; nelle radiocomunicazioni; campo audio; valvole visualizzatrici come per esempio gli indicatori di sintonia (comunemente chiamati “occhio magico”) solitamente utilizzati nelle radio riceventi: erano valvole caratterizzate dalla presenza di un’area che si illuminava in maniera più o meno vasta di verde a seconda che la sintonia fosse centrata; valvole numeriche o nixie: piccole valvole caratterizzate da più anodi a forma di numero (da 0 a 9) i quali divenivano visibili a seconda dell’impulso di comando (progenitrici in un cero qualmodo dei moderni display numerici) con le quali si realizzavano apparecchiature di misura (al pubblico apparvero per la prima volta sulle bilance elettroniche e sulle prime calcolatrici da tavolo); valvola televisive quali i cinescopi che ci mostrarono per la prima volta le immagini in bianco e nero o valvole da ripresa per telecamere da studio (orticonosopi e iconoscopi). Dato che una certa parte di segnali trattati riguarda anche la BF (spettro audio) vi fu un fiorente progredire di valvole dedicate appunto al campo dell’audio. Non mancarono nemmeno i tentativi perfettamente riusciti di una stereofonia. Solitamente erano amplificatori a doppio corpo o due unità monofoniche, una per canale. Certamente le radiotrasmissioni in FM non erano codificate stereo e non erano nemmeno digitali, si andava tutto in analogico: vennero comunque gettate le basi per una futura implementazione. Applicazioni tipiche nella BF con amplificatori audio anche di una certa potenza (25/50W) si ebbero con i mitici juke-box (marche famose Wurlitzer e Seeburg) e tutto il sonoro, HI-FI compreso, passava tra il catodo e l’anodo. Soprattutto in ambito sonoro vennero affinati gli altoparlanti: elettromagnetici prima e magnetoelettrici poi (L’elettromagnetico era caratterizzato dal fatto che non vi era un magnete permanente ma al suo posto vi era una elettrocalamita che alimentata in corrente continua generava le polarità Nord e Sud tipiche di un magnete permanente) . Ricorderemo certamente gli amplificatori della LENCO, della AUDIOLA, della GELOSO ecc.
A livello audio le valvole più usate erano i diodi (come valvole raddrizzatrici) per fornire la tensione anodica necessaria alle altre valvole per funzionare. Teniamo presente che una valvola funziona in bassa tensione solo nel filamento e di anodica cominciamo a ragionare dai 200/300 volt in su. Quindi i triodi come preamplificatori di segnale e quindi i tetrodi a fascio (simili per numero di elettrodi ai pentodi ma con caratteritiche di costruzione diverse) e pentodi. Molto usate furono ad esempio le 807; le EL84; le KT88 ecc.
Poi qualcuno inventò in Trasfer-Resistor o TRANSISTOR e le valvole cominciarono a tramontare. Oggigiorno rimangono in produzione pochi esemplari di valvole: i cinescopi o CRT; triodi preamplificatori come la ECC83 montata su amplificatori valvolari di classe come i MARSHALL; valvole per radiofrequenza come la 3Z500 o la EL509 o la 6KD6. La tecnologia costruttiva si è evoluta ma ancora (quelle rimaste) sono fatte come quelle di ieri.
IL LORO NOME
Nati come tubi elettroni a vuoto spinto ad emissione termoionica e derivate direttamente dall’evoluzione della lampadina, quando venne aggiunto per la prima volta il terzo elemento, la griglia di controllo, tra il catodo e l’anodo ci si rese conto che con un piccolo segnale applicato ad essa si poteva andare a pilotare il flusso di elettroni diretto dal catodo all’anodo. Si comportava ovvero allo stesso modo di come si comporta una normale valvola per acqua. Più si polarizzava negativamente la griglia e meno elettroni passavano. Da qui ecco che derivò il loro nomignolo di valvola. Se comunemente venivano chiamate valvole, per acquistarle non era sufficiente: come per i moderni componenti anche loro avevano una sigla che le contradistingueva. Tale sigla era un vero e proprio “codice parlante”, infatti dalla sigla si capiva perfettamente che tipo di valvola era. Faccio un esempio: EL84 significava 6,3 volt di accensione di filamento (lettera E); pentodo finale di potenza (lettera L); applicazioni audio (numero). E come per gli attuali componenti anche loro avevano le equivalenti/sostitutrici. Solitamente il mercato era diviso in due fasce: mercato Europeo caratterizzato da sigle inizianti con le lettere seguite da un numero e mercato Americano caratterizzato da un numero come iniziale di sigla. Così ad esempio la EL84 europea corrispondeva alla 6AQ5 americana. Naturalmente, seppure cartaceo, esisteva una specie di “database” : solitamente piccoli libretti editi da varie Case (famoso il “prontuario delle valvole” edito dalla GBC) in cui erano riportati i dati salienti, la monografia interna degli elettrodi (zoccolatura) ed il o i tipi corrispondenti. Identicamente ai produttori di semiconduttori vi fu un fiorire di marche (case produttrici) di valvole, ricordiamone qualcuna: SICTE; RAYTEON; BRYMAR; FIVRE; CGE; PHILIPS; ecc.
CINEMA & VALVOLE
Anche la cinematografia ando’ per decenni a valvole. Weastern Electric; Westighouse; RCA per citarne qualcuna. E a livello cabina di proiezione idem: l’amplificatore era valvolare. Anche lì non si poteva farne a meno.
Ce ne erano di varie forme e marche, di varia potenza. Praticamente ogni Casa Costruttrice di proiettori aveva anche una linea propria di amplificatori.
Ed allora vediamo dal vero un amplificatore valvolare che per anni ha dato la voce in sala:
l’amplificatore interamente valvolare preso in esame e’ il
FEDI modello 25WM.
Eccolo:
ed ora andiamo a vederlo molto più da vicino, fuori e soprattutto dentro.
Il pannello frontale dell’amplificatore
Il lato ingressi: il connettore grosso centrale era quello della cellula del proiettore, ai lati gli ingressi ausiliari microfono e fono. In basso i connettori di uscita al diffusore della sala e quello di alimentazione dell’amplificatore
Lato Connessioni
All’interno esso era costruito in questa maniera:
Vista interna
ed ora vediamolo da vicino, in tre sezioni, dall’alto in basso:
Parte superiore
Componentistica
La sezione alimentatore
Dati dell'amplificatore
Ecco: questo amplificatore, ora abbandonato a se stesso e alle intemperie, per circa un trentennio fece sentire il sonoro del film all’interno della sala.
Ed ora, per chiudere questa carellata retrò nel mondo delle mitiche valvole, una serie di foto dedicata proprio a loro, alle valvole:
NIXIE NUMERICHE
INDICATORE DI ACCORDO "A GHIANDA"
INDICATORE DI SINTONIA PER RADIO "OCCHIO MAGICO"
TUBO VIDICRON PER RIPRESE VIDEO (TELECAMERE)
PENTAGRIGLIA
OTTODO
MODERNE VALVOLE PER USO RADIANTISTICO
UN VECCHIO DIODO
VECCHIO DOPPIO DIODO
EVOLUZIONE DIMENSIONALE NEL TEMPO DI UN TRIODO
FINALE AUDIO DI POTENZA ANNI '50
ciao - alvaro